Nessuno vuole più Garcia. Resta solo il dubbio su quello che pensa l’uomo sul quale gravano tutte le responsabilità. De Laurentiis lo sa. È impossibile che non lo sappia meglio di chiunque altri. Il coro di critiche è universale. Si è sollevato universale e inequivocabile. Stavolta nessuna divisione. Lo scetticismo ha lasciato il posto a un monito di emergenza. Se ne sono accorti tutti. C’è stato un tentativo di ripristinare le cose nonostante le divergenze. La faccenda sembrava appianata.
Sembrava che il Napoli si fosse ricompattato intorno alla sua idea di pallone con le distanze corte e la vista lunga. Invece l’infortunio di Anguissa è sembrato l’assist all’ennesimo cambio discusso e discutibile di un allenatore che nella partita con la Fiorentina ha nuovamente attuato il suo inspiegabile piano di sabotaggio a se stesso e alla squadra. Il seguito lo hanno visto tutti. E ha trionfato l’oggettività. Un’amara e incontestabile oggettività. Cosa che raramente si manifesta nel pallone. Mettere tutti d’accordo è impresa ardua.
La paura per una stagione compromessa quando era appena cominciata è parsa un allarme sproporzionato. Le inversioni di marcia di una guida tecnica che non si è mai presa con la squadra e con l’ambiente fornisce elementi inquietanti che dicono soltanto una cosa: questo allenatore sembra qualcosa di assolutamente incompatibile con l’organico che ha a disposizione. Un corpo estraneo passivo e maldestro. O, chissà, fin troppo intraprendente.
Non è una questione di passato. Si sbaglia a pensare che Garcia dovrebbe riprodurre il Napoli di Spalletti. È gusto che un allenatore formi una squadra secondo le sue idee. Ed è la ragione per cui le idee di questo mister non vanno bene per questa squadra. L’insofferenza non è nemmeno più latente. Così come sono diventate insopportabili certe uscite che tutto fanno tranne che bene. Basta con questa continua dichiarazione del dover combattere per il terzo o per il quarto posto. Il Napoli l’anno scorso è stato tra le squadre migliori d’Europa, ha vinto un campionato e avrebbe meritato di giocarsi la semifinale di Champions. Non si può ridimensionare il valore e le prospettive di un gruppo in nome di una prudenza dettata da ragioni aziendali indotte o meno dall’alto non si sa, che hanno stancato in maniera altrettanto stucchevole.
Certi presunti limiti sembrano autoimposti, più che frutto di reali necessità. Al di là di chi vuole a tutti i costi misurare il pallone attraverso numeri e bilanci, c’è molto altro che conta e che fa parte delle responsabilità dei vertici nella stessa misura in cui si tiene a presentare i conti in ordine. Superare certi luoghi comuni sarebbe quasi il caso quanto superare quella convinzione per cui il Napoli deve sentirsi di una dimensione inferiore ad altre. E questa stagione poteva essere l’occasione storica per dimostrare il contrario.
Difficile pensare a soluzioni efficaci nel breve termine. Molto dipenderà prima di tutto dalla società, o, meglio, da De Laurentiis, e poi dalla squadra. Resta, per ora, la desolazione di una sensazione che, col dovuto rispetto, fa percepire una totale assenza di una guida tecnica o, peggio ancora, di una presenza dannosa. E questo non è giusto per nessuno. Per i tifosi, per la squadra e anche per Garcia stesso. Le sue dimissioni? Gli renderebbero il grande merito del coraggio dell’assunzione di una responsabilità e di rimettere a quella di una società che per risparmiare danaro troppe volte ha speso il tempo perdendolo a lungo. Ma pure le dimissioni hanno un costo e oggi sono fuori moda.