Che al Napoli non facciano bene le soste è una tradizione ormai consolidata. Stavolta, a differenza della sconfitta di Milano con l’Inter, per la prima volta si è visto un Napoli fragile mentalmente. Probabile conseguenza di un raddoppio, quello del Milan, di marcatura, di corsa, di motivazioni, di goal, arrivato proprio nel momento della ricerca della reazione. 

Doveva succedere, anche questo, per trovarsi dentro lo smarrimento, dentro tutto quello che la squadra di Spalletti ha imposto a chiunque fino a questo momento. Per il rischio di non sentirsi imbattibili, indisturbati verso qualcosa che in clima ostile e ipocrita vuole essere conquistato fino alla fine. Perché, e questo saranno sempre in pochi a dirlo, intorno a certi generi di probabili vincitori tirerà sempre una brutta aria. Un manto di ipocrisia ricopre complimenti e congratulazioni, talvolta, vedere certi accadimenti in corso (Maldini vs Spalletti, e non solo), espressi pure coi denti stretti della rabbia e dell’avversione. 

È bastata una domenica sbagliata per restituire a un intero ambiente l’avvisaglia che per mesi e mesi era stata tenuta lontana dalla forza del gioco e dei risultati, all’indomani dell’ultima fase di campionato e di un appuntamento storico proprio contro chi ha imposto quel monito preparabile solo in quel frangente di interruzione generale. 

Tutto intorno un arroccamento sulle proprie posizioni. In un’epoca dell’arroccamento, di una micro civiltà che si esprime sempre di più come tribù assediata. In tutte le sue forme. Pure nella gioia di poter vivere. Pure nel frangente che dovrebbe liberare il sollievo del desiderio avverato. Pure in quello subentra l’inquietudine di quell’arroccamento che fa diventare conservatrice e reazionaria pure la contestazione. Perché non c’è niente di peggio che agire secondo se stessi anteponendosi a quanto, invece, si dovrebbe prima di tutto mettere davanti. 

Perché sarebbe questo il vero voler bene. e questo, sia ben chiaro, valga per tutte le parti. Tifoserie organizzate, società e, soprattutto, quelle istituzioni che fanno valere questi ectoplasmatici regolamenti d’uso solo per chi l’uso lo avrebbe in casa propria, in spregio a chi è a casa propria, favorendo chi invece quella casa la disprezza, dove il settore ospiti, la parola ospiti sembrano essere la zona franca col più ambiguo dei luoghi a procedere.

Non ci sarebbe offesa peggiore che perseguire solo secondo se stessi, contro una squadra che sta conducendo una stagione che fino a questo momento ha espresso un calcio fuori dal contesto, fuori dalle noie, dai ci è dovuto e dalle arroganze. Arrogarsi, allora, pretendersi, sarebbe il peggiore degli affronti.

In una primavera ancora fredda, prematura, mai come in questo momento sopraggiunge quel ricordo del compianto Luigi Necco che, la domenica successiva alla “fuga” da Napoli di Maradona, mostrando il cappello con cui il Pibe de Oro aveva scherzato dopo l’ultima partita giocata col Napoli, disse a Novantesimo minuto: ”Speriamo che dentro questo cappello non ci sia tanta pioggia”. Davanti a questo Napoli ognuno di quelli che non sono iscritti al cartellone dell'astio e dell’ipocrisia avrebbe solo il dovere di recuperarsi. Senza arroccamenti, senza anteporsi, senza i fraintesi se stessi.