Non basta più presentarsi in pompa magna seduti su sedie dorate o su un palco montato a Palazzo Reale. Il Napoli è finito nella notte della vittoria di Torino con la Juventus. Il gol di Raspadori in quel fine aprile del 2023 decretò una gioia attesa un terzo di secolo e un’inimmaginabile inizio della fine. Perché nessuno, o quasi, vuole ammettere che l’era De Laurentiis rischia di essere al suo crepuscolo.

Il Napoli da quella notte ha smesso di giocare, di correre, di lottare, di essere quello che molti hanno sperato che potesse essere a lungo. Pochi e rari sussulti, ma di fatto il nulla. I tifosi aspettano un Napoli degno della loro passione da quel momento che è il sudario glorioso di una débâcle che pare non avere fine. Ormai rischia di diventare superfluo e pure un po’ retorico analizzare cause e ragioni. Resta un ambiente che appare sempre più avvelenato da se stesso. C’è qualcosa di non visibile che lo rende tossico. Qualcosa è invisibile, ma c’è e continua a fare danni di settimana in settimana.

La stagione annunciata come quella che avrebbe dovuto restituire il Napoli a una nuova solidità ha visto trascorrere una preparazione atletica mirata alla dimostrazione del disastro. Il Napoli, al di là di un mercato che si è reso al momento incompleto e insoddisfacente, si è preparato per mostrarsi nella maniera peggiore possibile. Conte ha allenato giocatori che sono sul mercato, altri che non sono a disposizione, altri che sono fuori organico, senza, invece, quelli che, anche se dovessero arrivare, avrebbero dovuto o dovrebbero migliorare la situazione.

Per un’estate intera è andato in scena un Napoli ipotetico, sperabile, immaginario, ma concretamente irreale davanti ad aspettative che adesso non pongono agli occhi di tutti un caso sportivo, ma umano. Perché questa è una squadra che sembra essere malata di una fragilità che va oltre il dato puramente calcistico. Ci sono dei giocatori che si sono autoinflitti una psicosi della fragilità al limite della sopportazione. Anche per chi li guarda tentare di giocare. 

I partenopei non vincono dal 7 aprile del 2024. Quel 4-2 a Monza è ancora oggi l’eccezione a un rendimento che da mesi e mesi è al di sotto della media retrocessione. Un intorno che nella storia del calcio napoletano può essere rintracciato solo nei suoi periodi più bui. Si riparte con chissà quali propositi e cosa succede? Tra lamentele e spie rosse di un Conte probabilmente subito pentitosi di certe dichiarazioni, e tra i principali responsabili della figuraccia di Verona, due gare ufficiali con Modena e Verona e zero gol segnati.

Il Napoli non è stato in condizione di segnare a una squadra di B e a un’altra che, con tutto il rispetto per i protocolli dei venditori di uno spettacolo, quello della serie A, che non c’è, è apparsa estremamente modesta. Il Napoli in questo momento non è in condizione di affrontare molte delle squadre del campionato. 

A Verona si sono rivisti titolari elementi che non sono più per queste intenzioni, altri che non sono all’altezza e altri che appaiono sempre più spaesati e disorientati. Senza contare che non si capisce perché con l’assenza di Buongiorno non sia stato utilizzato Rafa Marin. Gli è stato preferito Juan Jesus, coi risultati che si sono visti. Allora questo nuovo acquisto quando e se potrà trovare spazio? E perché Conte non lo ha schierato pur lamentandosi di un mercato ancora debole? Rimarcando la debolezza del vecchio ambiente, senza utilizzare chi invece non ne fa parte. 

Non è solo una questione di soldi e di investimenti (anche perché i soldi sono stati spesi e altri saranno investiti). C’è dell’altro che non può emergere con la netta ammissione di qualcosa che si sta tenendo sotto la polvere, ma che causa danno, molto danno. Tutto un irreparabile che forse è così grande e difficile da gestire per cui un anno non basterebbe, ma che inevitabilmente corrode anche mentre si cerca di porvi rimedio.

Il Napoli visto a Verona ha annunciato l’inquietante riavvio dei “è il peggior Napoli dell’era De Laurentiis”. Un disco che ha iniziato la sua musica da tanto tempo. E che non si ferma. Un regno che sarebbe stato meglio non fosse stato presentato.

Come scritto in altre occasioni, si sa che le cose nella vita possono cambiare. E che tutto questo potrebbe trasformarsi in altro di altrettanto incredibile. Ma il momento è questo. Prigioniero di un oblio senza via d’uscita. Se cambierà, onore al merito. Diversamente sembra difficile pure riuscire a definire i demeriti. In virtù di quello che non si vede, ma che c’è.