Dal primo momento è iniziata la narrazione di Antonio Conte venuto ad ammaestrare un luogo disabituato al lavoro duro. Da una parte quelli che non aspettavano altro, dall’altra i nostalgici di un’idea di calcio che forse a Napoli ha fatto il suo corso. Tramontato il 4-3-3, modulo simbolo di quel futbol ideologico fondato sulla raffinatezza e il bel gioco, il Napoli passerà ad altro. Dopo che questo stesso modulo aveva piegato più di un allenatore, nato da un equivoco passato alla storia come una scelta felice. 

Quale? Dopo l’addio di Benitez il Napoli ha deciso di abbandonare le quattro linee. Non più 4-2-3-1, benché molto di quel gioco avrebbe trovato patria nelle interpretazioni successive. Invece l’arrivo di Sarri quelle quattro linee non le aveva per nulla lasciate al passato, in nome di un 4-3-1-2 in cui quel trequartista sarebbe stato presto rimosso e risistemato con Higuain punta centrale e rifinitore al tempo stesso e la cui correzione – pare richiesta proprio dalla squadra – avrebbe generato il Napoli nato e “non creato” destinato a giocare a lungo con quel modulo fino allo scudetto di Spalletti. Talvolta convincendo pure quelli meno inclini ad applicarlo. Fino allo sfascio amaramente maturato con il triumvirato fallimentare della stagione successiva al tricolore.

Antonio Conte fa pensare, almeno è l’effetto che fa a molti a causa dei suoi allenamenti più intensi, alla caserma del pallone. Invece, con buona pace dei narratori di moda, probabilmente potrebbe pure indurre a contemplarlo come una possibilità che un gioco diverso possa finalmente arrivare laddove quel modulo aveva logorato il pensiero calcistico di una piazza che si era sentita adatta soltanto a quello.

Le parole più importanti di Conte non sono state quelle presto trasformate in gadget, ma quelle che hanno annunciato una squadra che lui stesso cercherà di tradurre secondo se stesso, ma senza snaturarne talenti e inclinazioni dei singoli. Kvara su tutti, “A volte Kvara si smarrisce quando viene spostato troppo verso il centro. Io invece voglio che lui giochi sentendosi a suo agio”, per dirne una.

Allora perché non incuriosirsi al Conte che cercherà di fare calcio? Magari avvicinandosi ai segni di chi ne ha subito accolto, o respinto, la sua metà fredda e “arrabbiata”. Come quella del Visconte dimezzato di Calvino, che, dopo il colpo in petto, rimane diviso in due, mandando in giro, almeno nell’iniziale percezione generale la parte più “cattiva”. 

Ci si aspetti pure il calcio, se a favore di risultati o meno lo dirà il tempo, da un allenatore che prima di essere accettato ha dovuto attraversare, a torto o a ragione, la selva delle antipatie per le sue provenienze da luoghi rivali e antagonisti. La storia si è divisa in due, proprio come il visconte Medardo. Chissà che avvenga qualcosa a Napoli utile a recupere e riunire anche quella saggia e riflessiva. Magari per una compensazione reciproca. Nel romanzo di Calvino, in fondo, il lieto fine arriva.