Viktor Kovalenko, fantasista dello Spezia, ha parlato nel corso di una toccante intervista concessa alla Gazzetta dello Sport della situazione in Ucraina e del conflitto con la Russia.
Il drammatico racconto di Kovalenko
Morte? «Ho la foto del mio amico. È stato cinque giorni nascosto in un rifugio, poi ha provato a scappare. È salito in macchina con suo fratello e una ragazza. Al primo posto di blocco i militari russi hanno fermato l’auto e ammazzato i due maschi. Non hanno nemmeno restituito i corpi per la sepoltura. La ragazza è stata trattenuta per tre ore, poi l’hanno lasciata andare. E lei si è messa a correre urlando».
La famiglia di Kovalenko è a Kherson
Viktor, come sta la tua famiglia?
«Per fortuna bene. Ma l’incertezza è tremenda. Non sappiamo quanto potrà durare questa guerra assurda. Kherson è occupata, a 15 km dalla nostra casa sono state sganciate le bombe».
Stai cercando di far venire la tua famiglia in Italia?
«Adesso sarebbe impossibile: troppo pericoloso. In quella zona, se vedono passare una macchina, i russi sparano: non importa se ci sono civili, donne o bambini. Per uscire da Kherson bisogna superare tre posti di blocco. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. I miei genitori non accetterebbero mai di partire. E questo vale per tanti ucraini. Se abbandoni la tua casa, sei sicuro che al ritorno non troverai nulla: i russi entrano e prendono tutto. Tu cosa faresti? La scelta è facile: resti lì, difendi non solo la tua casa, ma la tua vita. Mio padre ha un fucile. Spera di non doverlo usare, ma nel caso difenderebbe se stesso e la sua famiglia».
Da quando non li abbracci?
«Il mio compleanno è il 14 febbraio e in quel periodo erano venuti a trovarmi a La Spezia mia madre e Igor. Sono tornati a Kherson pochi giorni prima dell’attacco dei russi».Il messaggio per l'Ucraina
Su Instagram lanci molti messaggi per sensibilizzare l’opinione pubblica.
«Ognuno può fare qualcosa. E se un post sui social riesce a mobilitare anche una sola persona significa che è stato utile. Il messaggio è uno solo: pace».
Donetsk? Tu giocavi nello Shakhtar?
«Sì, ero tornato a Kherson un paio di giorni. Poi andai a Donetsk per riprendere gli allenamenti, ma non riuscii a entrare in città perché c’erano i posti di blocco. Il giorno dopo lo Shakhtar si spostò a Kiev. Una settimana dopo il nostro centro sportivo fu bombardato. Non ho giocato nemmeno una partita alla Donbass Arena».
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