Ogni giorno, quelli come Ed Horman vanno allo stadio e cercano un figlio, un fratello, un amico. È dai tempi antichi che l’arena sia pure luogo dell’orrore. Si nasconde dietro il frastuono il grido che disperato implora aiuto e col suo autore finisce chissà dove.

Succede a Jack Lemmon nel Missing di Costa-Gavras, di ritrovarsi disperato e smarrito dentro il doppio fondo del mito e del suo ignoto. Lo Stadio Nazionale del Cile, nella Santiago della repressione, che ha trasformato in rappresaglia pure il suo campo di calcio. Il regime di Pinochetci ha messo poco a ribaltarlo, quel doppiofondo, deportando sul campo di pallone migliaia di sostenitori dell’Allende decaduto.

Niente più ricordi del Mundial ’62, di un campionato del mondo passato alla storia per la partita-rissa tra italiani e cileni, per un incidente diplomatico durato per anni, per un'organizzazione incurante di aver messo in scena un mondiale in un paese che poco tempo prima, nel 1960, era stato devastato da un violento terremoto. (Durante la partita Cile-Italia fu tre volte necessario l’intervento della polizia cilena sul terreno di gioco. I cileni conclusero quel Mondiale al terzo posto, ma l’ottimo piazzamento non bastò a tirarli fuori dal notevole stato di degrado in cui il futuro li avrebbe cacciati ancora, a conoscere soprusi e altre tragedie, così come non era bastata la rabbia di una partita per dare un messaggio di reazione al mondo. Un libro di Alberto Facchinetti racconta dettagliatamente quell’incontro, giocato il 2 giugno del 1962.) Articolo completo sul mondiale cileno del 1962

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Niente più spazi gioiosi e ricreativi dentro un paese funestato da un amaro destino e forse pure da qualcos'altro che non si è rivelato. Estadio Nacional, lager dove la giunta militare raduna i plotoni comandati dal colonnello Espinoza, per imprigionarvi e torturarvi decine di migliaia di persone. Per quasi due mesi, dalla metà del settembre 1973 al 9 novembre dello stesso anno, la dittatura cilena afferra la storia e la spezzetta dentro e intorno lo Stadio Nazionale. Rievoca i leoni al Colosseo, la persecuzione dei cristiani, la regola totalitaria, e giù fino agli stadi adoperati durante la seconda guerra mondiale. E lo fa a porte chiuse, come fosse una questione privata. Arresta chiunque sospettato di simpatizzare per Allende e lo spinge dentro il complesso sportivo di Santiago. Un pezzo di nazione viene buttato nel tritatutto della capitale cilena, insieme a giornalisti, artisti, musicisti. Tra questi, Victor Jara, professione regista e cantante. Colpa? Manifesta simpatia per il rimpianto Salvador.  

Lo ha raccontato Alberto “Gato” Gamboa a La Nacion, il suo giornale, dell'epoca nella quale in Cile bastava che un militare interpretasse con diffidenza l’entusiasmo di un giornalista, la verve di un artista o la semplice diffidenza di una persona verso le pieghe oscure del regime, per finire nudi e crudi dentro lo stadio dell’orrore, deambulando in mezzo a centinaia di persone, cercandosi un posto comodo dove passare la notte, sperando che il giorno dopo non fosse l’ultimo.

Victor Jara nasce in una famiglia scolpita dentro la roccia sudamericana. Il padre Manuel,“campesino”, dentro la testa la bussola per sbarcare il lunario, e la madre, Amanda, originariaMapuche, cantante che pare si diletti a intrattenere amici e parenti, e prima musa ispiratrice del poeta Victor, che si avvicina alla musica e all’arte proprio grazie ad Amanda.

Il complesso sportivo di Santiago comprende lo stadio e altre strutture circostanti l’impianto. Le milizie di Espinoza non esitano a sfruttare i cunicoli e i sottopassaggi per consumare il delitto al buio, facendo scomparire persone mai più ritrovate, conducendole all’interrogatorio e alla tortura anche sulle basi di semplici e sommari sospetti. E Victor, all’età di 41 anni, ci finisce dentro fino al collo, quando i militari lo arrestano a causa delle sue canzoni e dei suoi testi vicini alle idee socialiste di Allende. Dopo avergli spezzato le dita e dopo averlo deriso chiedendogli di “suonare una canzone”, il 16 settembre del 1973, Victor Jara viene condotto nelle cavità ignote del sottosuolo cileno.

Secondo una testimonianza pare che il suo corpo sia stato notato privo di vita, ammassato insieme ad altri, con chiari segni di tortura. Victor Jara subisce il suo martirio, sottoposto alla sua passione privata, come tanti altri e per le loro stesse ragioni. Perché, a modo proprio, aveva amato la sua terra, come i cileni che nel 1962, nello Stadio Nazionale, erano stati spettatori gioiosi di un effimero e discusso segnale di rinascita del proprio paese, e che, invece, dieci anni dopo, in quello stesso stadio, il Cile sarebbe stato condotto così, condannato a una punizione senza colpa. Nello stesso luogo, sullo stesso terreno, un pezzo di Cile gioca tutte le partite possibili, con l’unica differenza che il calcio di quel Cile, nell'anno ’73, dall'Estadio Nacional è andato via da un pezzo.