Aveva 7, 8, 10, 13, 16 anni, Francesco, quando provò a scrivere il libro della sua storia, personale e professionale. Sognava Beppe Giannini. Sognava il calcio, il grande calcio. Il calcio da protagonista, e nella sua città. Sognava di vincere, lo scudetto e il Mondiale. Certo, forse anche qualcos'altro, che comunque ha assaggiato. E tanto basta. Perché Francesco c'è riuscito. Ha messo la sua intera vita a disposizione di Roma, e ce l'ha fatta. Fino in fondo. Ha tramutato i sogni in realtà, come nella più bella e durevole delle favole. Quelle che si raccontano ai bambini per farli crescere come lui. Quelle che si racconteranno, anche tra cento anni, quando in Italia, non solo a Roma, saremo all'indomita - e probabilmente inutile - ricerca di uno come lui. Come per Baresi e Maldini a Milano, Del Piero a Torino, Maradona a Napoli e Baggio un po' dovunque.
Non nascerà mai più, in ogni caso, un Francesco Totti. Facciamocene una ragione. Per questo, nel calcio, si ritirano le maglie: ed è giusto che sia così. Perché per quanto il mondo possa evolversi, e per alcuni tratti anche migliorare, nessuno inciderà mai più 'Shine on you crazy diamond', girerà 'C'era una volta in America', dipingerà 'L’ultima cena', scriverà 'Siddharta' o scolpirà 'La pietà'. Il bello assoluto non cerca eredi né produce paragoni intelligibili: né tantomeno noi comuni mortali dobbiamo affannarci alla loro ricerca. Per questo Francesco Totti resterà. Per sempre.
E ci sarà un prima ed un dopo Francesco Totti. Come per gli altri monumenti del nostro calcio, e della nostra vita, senza via di mezzo. Il durante, purtroppo, è finito oggi. A prescindere da ciò che deciderà di fare, la sua storia finisce qui. Da calciatore altrove, o da dirigente in giallorosso, cambia poco: il suo ultimo cucchiaio l'ha regalato su facebook, giovedi, restando enigmatico ma solenne e sincero, come nella sua natura. Il suo ultimo dribbling in campo, contro un Genoa che deve essere onorato d'averlo affrontato, un'ultima volta, ed al cospetto del suo popolo. Un popolo che, in ogni caso, deve concedersi solo una lacrima, e poi regalare ai posteri un mazzo di sorrisi. E sentirsi felici e gratificati per averne goduto lungo un venticinquennio, perché nella città eterna solo tre generazioni hanno potuto farlo. Adesso arriva il dopo Totti, e non sarà mai uguale. Forse similmente epico, diversamente vincente, calcisticamente moderno, ma mai uguale.
Il prima di Totti, a Roma, era certamente meno orgoglioso, meno fiero di sé stesso. Non aveva mai avuto un figlio così illuminato, a cui affidare il proprio cuore ed in cui riporre le proprie speranze. Certo, era un calcio che già aveva conosciuto l'odore etereo ed il sapore fresco e dolce della vittoria, ma senza alcuna delle sensazioni provate nel quarto di secolo tottiano. Una mini epoca fatta di faticose salite e scoscesi declini, ma soprattutto di emozioni. Quelle di cui l'animo umano, di Francesco e di chiunque ha avuto il privilegio di goderne, si nutre per sopravvivere. E che inevitabilmente ricercherà anche nel dopo Totti, che comincia ufficialmente oggi. Anno zero, come prima di Cristo e dopo di Cristo: 1976, quindi, come anno zero dell'avanti Totti (da ora in poi, a.T.), e 2017 come 41 d.T.. Non me ne vogliano i nazi-cattolici, ma il calcio, per quelli come noi, è una fede. Ed una notazione del genere, evidentemente, rende bene l'idea di quanto possa essere spaesante, più che per noi calcioromantici, il 42 d.T. per la Roma. Che, ovviamente, equivale al 2018. Il primo anno senza Totti, ma anche senza Spalletti, Sabatini, Szcz?sny, almeno uno tra Manolas e Rudiger e probabilmente uno tra Nainggolan e Strootman. Certo, con un Florenzi in più, uno Dzeko ritrovato ed un bagaglio di esperienza fortificante: ma soprattutto senza un capitano. Anzi, con un capitano diverso. Daniele De Rossi, che Totti mai sarà, ma che per cuore, dedizione alla causa, mezzi tecnici e quant'altro può serenamente prendere in mano quella fascia. Così stropicciata e logorata dai tempi, ma soprattutto ancora grondante del sudore di chi le ha regalato tutto sé stesso, ricevendo forse meno di quello che meritava. Al netto di quello che, dei tifosi, definire solo affetto e riconoscenza è sicuramente riduttivo, Francesco Totti ha ricevuto meno di quanto meritasse. Al Real Madrid ed al Milan che lo hanno corteggiato per oltre un lustro, d'altra parte, avrebbe guadagnato e vinto molto di più. E' per questo che c'è un a.T ed un d.T.. E' per questo che oggi la lacrima, pur essendo una sola, contiene dentro un mare intero di bombe dalla distanza, punizioni sotto il sette, passaggi illuminanti, colpi di tacco, rigori a cucchiaio, calci negli stinchi, sforbiciate volanti, dribbling di suola, selfie sotto la curva, sputi velenosi, magliette purganti, raffinate volée mancine, pallonetti sotto la traversa, urli a perdigola, gesti del 4-silenzio-e a casa, fratture del perone, Coppe del mondo, barzellette, pollici in bocca, Scarpe d'oro, Supercoppe, chiome castane, balzi oltre i tabelloni, tunnel pungenti, baci a Ilary, esterni di destro, abbracci ai bambini. Ma, soprattutto, sorrisi lieti. Quelli che ha regalato in campo e fuori dal campo, fino a delineare i contorni d'un viso oggi con qualche ruga in più e qualche ciuffo in meno, ma con la medesima voglia di far star bene. Come tutti i calciatori che c'erano ieri, ci sono oggi, e ci saranno domani. Per noi, ma soprattutto per chi verrà. A cui cercheremo di spiegare, tramandandolo con la stessa sacralità d'una fede laica, chi era Francesco, e perché il 2017 in realtà è il 41 dopo Totti. L'anno da cui, in avanti, Roma e la Roma cambieranno.
E i ragazzini inizieranno a crescere non solo nel suo nome, ma anche nel suo mito. Cercando di rincorrere, come fece lui con Giannini, i propri sogni. Affinché il cerchio magico della vita, e del calcio, continui per sempre. Anche senza Francesco in campo.