Uno a Nizza, l'altro a Genova. Paradossalmente separati da 200 chilometri, e giusto un paio d'ore di macchina. Eppure avrebbero potuto ritrovarsi, ancora una volta. Non in azzurro, certamente, ma magari in una squadra di club. Magari a Pescara, o a Palermo, visto che sia Sebastiani che Zamparini li hanno contattati entrambi, per capirne le intenzioni, pur senza trovare né una vera disponibilità di massima, né tantomeno la quadra, sotto il profilo economico. O, chissà, entrambi in una Sampdoria meno cinica e più romantica, al limite più affine alla prima società di Ferrero, che più che ai giovani rivolgeva la sua attenzione ai grandi ritorni - vedi, appunto, Fantantonio - o ai leoni indomiti sul viale del tramonto - in riferimento a Eto'o -. E invece, oggi, le strade di Antonio Cassano e Mario Balotelli sono così diverse. Così speciali. Così straordinariamente tristi, se volete. Tanto da farsi rimpiangere, a prescindere da come andrà.

Antonio non ha voluto sentir ragioni. E, da questo punto di vista, proprio non me la sento di fargliene una colpa. Non sappiamo se davvero aveva promesso a Ferrero che se ne sarebbe andato, dopo l'addio di Montella, ma ciò non toglie che quello che ha fatto, e detto, la Samp, pur di toglierselo di dosso, è stato esageratamente ridondante. L'incontenibile estro del patron blucerchiato lo ha portato addirittura a proporre al ragazzo - che è un 34 enne, non un 42 enne, per inciso - di scendere in B, aiutare Spezia o Entella a farsi promuovere, e poi appendere gli scarpini al chiodo. Un progetto professionale certo affascinante, ma che evidentemente Cassano non vedeva, e non vede, nel suo futuro. Ha sempre voluto tornare alla Sampdoria e, possibilmente, anche chiudere la carriera a Genova. Cosa che probabilmente avrebbe fatto, se la Samp gli avesse concesso di vivere normalmente, seppur giocando un ruolo da semplice rincalzo di lusso, questi ultimi 10 mesi di contratto. Nulla di tutto ciò, visto che il diretto interessato, soprattutto per via della famiglia, ha rifiutato ogni destinazione - ultima, ma solo in ordine cronologico, quella rosanero proposta da Zamparini - e puntato i piedi. Anche a costo di esser retrocesso, e relegato alla Primavera. Che spettacolo per i ragazzi blucerchiati. E che smacco per il calcio italiano, che proprio non riesce a trovare una collocazione al suo '10' più geniale dell'ultima generazione, per via d'una squadra che, pur dovendo guardare necessariamente al futuro, fatica a guardarsi dentro. E dietro. Dove ha lasciato, e vuole lasciare, il suo tesserato più talentuoso. Da fuori rosa. Proprio com'era Mario Balotelli, fino alla scorsa settimana, in quel di Liverpool.

Dove, per intenderci, Jurgen Klopp non l'ha neanche voluto valutare. Figuriamoci allenarlo.

Il suo cartellino è stato banalmente regalato, a fronte del semplice riconoscimento d'una percentuale su un'eventuale futura rivendita. Mai, nella storia del calciomercato, era capitata una circostanza simile, con riferimento ad un calciatore di appena 26 anni che ha già realizzato 114 gol in carriera, e che solo due anni prima era stato pagato 20 milioni di euro. Certo, è l'intera storia, di vita e di calcio, di SuperMario ad essere unica e, probabilmente, irripetibile: dall'esordio in Serie A, da ragazzino, nel lontano 2007, sono passate già 9 stagioni, condite da ben 6 cambi di maglia, se si considera anche l'effimero ritorno in Inghilterra, al termine del suo deludente contratto-bis con il Milan dello scorso anno. Dove anche Mihajlovic è caduto nel tranello del "Mario cambiato" e del "nuovo Balotelli" e anche l'ennesima, fatidica, "ultima chance" andata a farsi benedire. Chissà se l'ambizioso Lucien Favre, che è abituato ad allenare ben altro tenore di giocatori, sarà capace anch'egli di illudere o di farsi illudere da quello che per un poeta di nome Federico Buffa era e rimane "un guerriero Ashanti che parla in bresciano. Che però non gioca come un Ashanti, perché non ci sono i collegamenti tra chi è, sotto il punto di vista genetico, e chi è calcisticamente". 

Il suo agente, dopo aver piazzato i vari van der Wiel, Ibrahimovic, Mkhitarian e Pogba, s'è dedicato nelle ultime settimane di mercato quasi esclusivamente a lui (e Matuidi). Raiola ha avuto contatti, diretti o indiretti, con Milan, Sampdoria, Besiktas, Ajax, Inter (ovviamente prima che Mancini andasse via), Chievo Verona, Palermo, Lazio, Sassuolo, Sion, Everton, Bologna e Manchester United. Ed, ovviamente, Nizza. L'unica che s'è resa disposta a pagare il grosso del suo ingaggio precedente, e che, soprattutto, gli metteva a disposizione l'intera, lussureggiante, distesa marina e festaiola della Costa Azzurra. A dieci minuti, peraltro, dall'altrettanto lussuosa sede della Sportman di Montecarlo, dove ha residenza e base logistica il buon Mino. Che avrà così modo di monitorare da vicino le imprese sportive (e non) del suo eletto, ora pronto ad esser rilanciato, almeno a livello mediatico, verso la Nazionale che però fa tranquillamente a meno di lui da più di due anni. Quando lui e l'amico Antonio giocarono (male) da titolari in Brasile, almeno quanto fecero bene, in precedenza, all'Europeo. 

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora. Da quando Conte è sbarcato in azzurro non ha mai pensato veramente, neanche per un istante, a nessuno dei due, che nel giro di 24 mesi si sono ritrovati uno fuori squadra, e l'altro a doversi rifare una carriera, ripartendo dalla quarta classificata in Ligue 1, con prospettive di vittoria del titolo che sfiorano lo zero, e giusto qualcuna - e molto dipenderà dallo stesso Balotelli, e da Belhanda - di giocare la Champions. L'equivalente, insomma, di squadre come Lazio, Fiorentina e Sassuolo in Italia: e con due delle quali, peraltro, il suo entourage ha anche dialogato intensamente. Senza però pervenire ad un accordo economico: l'obiettivo di Balotelli e di Raiola è sempre stato quello. Anche a costo di dire definitivamente addio alla Nazionale, che in attesa di Berardi, e mentre si cerca di capire che futuro potranno assicurare Eder e Pellé, pensa legittimamente, piuttosto, a Immobile, Belotti, Pavoletti e Gabbiadini.

Un esilio dorato, insomma, e voluto, completamente diverso da quello forzato dell'amico Cassano. Col quale ha condiviso qualche anno di azzurro a buon livello, ed una carriera fatta di apici e pedici, sull'ottovolante, sempre a cento all'ora e senza mai tirare il freno a mano o azionare quello motore. Che a questo punto, però, per entrambi, e non necessariamente solo per colpe proprie, s'avvia mestamente verso il capolinea. 

E sbagliarmi, stavolta, non potrebbe che darmi gioia, gusto e soddisfazione.

Amici - rivali in un Milan-Parma (getty)

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