La storia del calcio a Napoli non lesina occasioni perdute. Lo sfumato è un elemento del passato azzurro. E adesso, benché la squadra stia andando oltre previsioni e obiettivi dichiarati, tutto sembra indirizzarsi verso un epilogo che potrebbe sapere di rimpianto. E le cui ragioni, tirate già fuori come all’assaggio del brodo, bollono nel gelo dei dubbi e di perplessità, alcune dei quali destinati a restare irrisolti.

L’ordine sparso dice di tre punti “sacrificati” a Verona nella prima giornata in nome di un mercato compresso nella settimana breve di inizio campionato, con quelle trattative in uscita che, tra un Osimhen furioso e scontento e un Kvara a meditare altre possibilità, hanno, sembra, rallentato e anche un po’ compromesso il completamento di un organico partito con qualche mancanza di troppo.

La società ha consegnato ad Antonio Conte una rosa buona per correre in una sola competizione. E nemmeno, viste le difficoltà a cui il Napoli ha dovuto sopperire con troppa sofferenza appena la voce infortuni si è fatta viva nel momento più delicato della stagione. Forse c’era da arrivare in Champions e basta, senza pretesa altra che non fosse il tentativo di andare oltre in avanzo di aspettative.

A gennaio Kvara ha abbassato ulteriormente le temperature con l’ipocrisia di chi passa, dice di volere bene, ma in fondo non aspettava altro che contratti di gran lunga migliori. E se da un organico già con poche alternative uno come il georgiano saluta nel bel mezzo della corsa senza possibilità e tempi di sostituzione, allora la piega non può essere che ostile. 

Antonio Conte si è dato da fare per integrare al meglio Billing e inserire Gilmour senza aspettare soltanto di utilizzarlo come vice Lobotka, subito dopo aver dato nuovo smalto a Raspadori cucendogli intorno un modulo a lui più congeniale. Ma in questo 3-5-2 a soffrire sembrano ci siano troppi calciatori che fino all’impiego del 4-3-3 erano sembrato molto più incisivi. Allora restano i dubbi per cui già a Venezia non sarebbe stato il caso di pensarci, e non sarebbe stato anche il caso di affidarsi più a Billing che a un Anguissa ancora spento atleticamente e ancora più sofferente ed errante in una mediana affollata e poco disinvolta.

Una serie di dettagli, alcuni leggibili, molto leggibili, altri venuti fuori col senno di poi, meno attendibile, fanno da contorno condizionante a un campionato che il Napoli sta sì conducendo con onori e risultati, ma che porta con sé troppe sensazioni che potrebbero sapere di occasione perduta. In fondo quei tre punti di vantaggio dell’Inter in classifica hanno l’anima di sette partite con appena una vittoria, zero successi in trasferta, di due pareggi determinati nei minuti finali e di qualche altro vento contrario.

Qualcosa si addebita all’interno e qualcosa arriva a turbare dall’esterno. Le correnti perpetue di una storia che si arricchisce di ‘poteva andare meglio, ci è mancato poco’. A volte, però, a quel poco si può operare. Basta desiderarlo davvero.