di Elio Goka

Alle ore 15:00 del 15 aprile 1989 è in programma la semifinale di FA Cup tra il Liverpool e il Nottingham Forest, sul campo neutro, come da regolamento, dello stadio di Hillsborough, nella città di Sheffield, in Inghilterra.

L’Inghilterra è ancora segnata dall’imbarazzo per i fatti dell’Heysel, quando nella tragica notte della finale di Coppa dei Campioni, a Bruxelles, tra Liverpool e Juventus, 39 persone, quasi tutte italiane, perdono la vita a causa del crollo di una parte della curva dove sono sistemati i tifosi bianconeri, molti dei quali schiacciati contro la parete del settore eccessivamente affollato dalla ressa originatasi dalle cariche dei tifosi britannici. Nella sera del 29 maggio 1985 non sono esenti da responsabilità le autorità belghe e gli organizzatori dell’incontro. Tante cause e concause contribuiscono a dare vita a una delle più tristi serate della storia del calcio.

Il 15 aprile del 1989, in occasione della semifinale tra i Reds e il Nottingham, ai tifosi del Liverpool viene assegnata la Leppings Lane, il settore alla sinistra della tribuna centrale. La Leppings prevede una capienza di oltre 14.000 posti, ma soltanto 6 ingressi. L’afflusso nel settore, da parte dei tifosi del Liverpool, procede a rilento. A pochi minuti dall’inizio dell’incontro, le autorità preposte all’ordine pubblico decidono di aprire l’ingresso “C”, quello che consentirebbe di accedere più facilmente alle corsie laterali. La scelta risulta fatale. La spinta della folla schiaccia centinaia di persone verso le pareti della Leppings e del tunnel del Gate C. Quando la partita ha inizio, questa viene sospesa dopo 6 minuti di gioco, anche se in realtà nessuno si è ancora accorto di quello che è appena successo. La sospensione viene decisa perché sembra che ci sia un’invasione di campo. In realtà sono soltanto i tifosi che cercano di evitare di finire schiacciati contro le inferriate della Leppings. Poco a poco tutti iniziano a rendersi conto di quello che è accaduto. L’Inghilterra e il mondo del calcio si trovano davanti a una tragedia che conterà 96 vittime e circa 200 feriti.

Non mancheranno polemiche e inchieste, per una strage che, alla luce delle indagini, sarebbe stata evitata se l’organizzazione non si fosse rivelata così superficiale e avventata. Da quel giorno l’Inghilterra non sarà più la stessa. Il 15 aprile 1989 segna un momento importante per la storia dell’ordine pubblico negli stadi inglesi. Quel pomeriggio entrerà nella mente di tutti gli appassionati di calcio, e lo farà senza uscirne più.

Un episodio molto emozionante si verifica mercoledì 19 aprile dello stesso anno. Quattro giorni dopo, aMilano, si disputa la semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni. A fronteggiarsi sono i rossoneri diArrigo Sacchi e il Real Madrid. Dopo il fischio d’inizio viene concesso un minuto di raccoglimento per ricordare le vittime della strage che pochi giorni prima aveva scosso il mondo intero. Durante l’applauso del pubblico, da un settore del Meazza, quello occupato dagli ultrà rossoneri, si ascolta il canto di You’ll never walk alone, lo storico e celeberrimo inno del Liverpool, e non solo, presente anche in una traccia finale di un brano dei Pink Floyd. Sono i tifosi del Milan che intonano la canzone simbolo dei Reds per omaggiare il ricordo di quel triste giorno.

I tifosi rossoneri avrebbero poi ripetuto quel rituale di commemorazione venticinque anni dopo, durante una partita con il Catania, nell’aprile del 2014. Nel 1989, durante quegli istanti, i tifosi del Milan mai avrebbero immaginato che il Liverpool potesse un giorno rappresentare la grande croce e delizia della storia del club, quando, nella finale di Champions League dell’edizione 2005 i reds di Rafa Benitez (da sempre molto vicino ai familiari delle vittime di Hillsborough) avrebbero sconfitto ai calci di rigore proprio il Milan, dopo un’incredibile rimonta, e che lo stesso Diavolo, due anni dopo, contro lo stesso avversario, avrebbe trovato la rivincita nella finale della massima competizione europea con una vittoria per 2-1.

Il coro spontaneo dell'aprile 1989 ancora risuona. Non c’è religione più rispettata di quella che si pregia della preghiera recitata dal credente in un’altra. Il calcio, ogni tanto, sa fare anche questo. Una liturgia universale che in certi frangenti sa adottare le pratiche altrui senza conflitto, senza sentimento di rivalsa e senza patria. Come ha scritto Eugenio Montale nelle sue Trentadue variazioni, “Non riesco a trovare alcun nesso tra una pedata al pallone, o agli stinchi di qualcuno, e il così detto orgoglio nazionale. Piedi e patria per me non sono omogenei: non si fondono.” You’ll never walk alone.