Come già fatto in qualche altra occasione, proviamo a soffermarci su un dettaglio, un frammento, un particolare della letteratura intorno alla storia del calcio. Stavolta, lo facciamo con una delle scene più celebri del cinema di genere, caratterizzata dalla frase che ancora riecheggia nell’immaginario collettivo di tifosi e appassionati, in un’adozione generale che, grazie a poche parole, consente a chiunque ami il calcio di potervisi in qualche modo riconoscere.

“Noi non supereremo mai questa fase”. La promessa a se stessi più celebre del calcio. Febbre a 90°, diretto da David Evans, ispirato al romanzo omonimo di Nick Hornby, il Fever Pitch uscito nel 1992 (il film invece è del 1997), si presenta così, con un giuramento che ammonisce, avvisa e ricorda, rubricando una regola semplicissima che suona come un comandamento al tempo e alle vicende. Se un ragazzino dice a suo padre, dopo che questi sin dall’infanzia lo ha iniziato al football come con una religione, la didattica inverte la sua direzione. Un’inversione pedagogica dichiara guerra alle alternative. E il calcio di alternative non ne contempla. Chi fa a se stesso quella promessa, chi giura fedeltà prima di tutto alla sua vita di tifoso, ammette quelle alternative solo in assenza della sua religione. 

Copertina dell'edizione italiana, pubblicata da Guanda, di Febbre a 90'

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Un figlio che ricorda un giuramento a suo padre, a colui che quel giuramento glielo ha impartito per primo, mette una mano sopra un codice d’onore e dichiara al mondo di sentirsi seguace di una dottrina religiosa politeista dove le divinità sono in guerra e ogni volta si dividono tra il ridicolo e l’incomprensibile. E, come lo stesso Hornby scrive a chiare lettere, se tutto quello ha un senso è perché ogni volta, ogni anno, in ogni stagione, quella fede si ripete e si rinnova, facendo dell’ovunque un tempio possibile, disprezzando l’eventualità che un andirivieni di convenienza indebolisca la sua fedeltà. C’è un punto di non ritorno, dal quale non si può più tornare indietro se non con un peso che si porterebbe addosso un senso inimmaginabile di pentimento.

I rapporti sentimentali, le amicizie, il lavoro, i dubbi, gli errori, la vita, in fondo, corrono dietro a tutto questo senza sapere se tutto si verifica secondo accondiscendenza o costrizione, comunque, tuttavia, irrimediabilmente riassunto in un’obbedienza che li annoda a una dipendenza che si presenta come una formula nuova della speranza. Ingannatrice, benevola, crudele, consolatoria, ma che corre veloce, portandosi dietro tutto. Starne lontani quando si è ancora in tempo è l’unica maniera per liberarsene. Farlo prima ancora di cominciare. Del resto, se sin dai tempi antichi l’uomo ha avvertito la necessità di coniugare la gloria anche attraverso il gioco, vuol dire che pure se qualcuno fosse stato destinato ad assistere, in qualche modo, avrebbe dovuto condividere l’esperienza dolorosa o gioiosa di se stesso e per stesso.

Copertina del dvd della versione cinematografica di Febbre a 90'

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Se i figli ricordano ai padri un giuramento, la tragedia greca compie un salto di qualità. L’uomo dietro certe forme di fedeltà fa paura, si rende impressionante, correndo in direzione contraria rispetto alle retoriche progressive della saggezza. Ma è proprio questa infinita tenerezza dell’appartenenza, che scova fin dentro l’infanzia l’origine remota di se stessa, guardandola, contemplandola, dicendole di sì, che umanizza questa condizione. Se dietro al nome della curva di uno stadio si nascondono i ricordi di una guerra che ha chiamato alle armi una città intera, se al coro di una tifoseria si lega la prosecuzione universale di un motto ratificato da un’adesione collettiva, è perché c’è qualcuno che non può più tornare indietro. La passione come condanna. Il patos del nuovo tempo. Niente può guastarlo. Lo sa, meglio di tutti, un ragazzino nato prima di suo padre.