Signor Lobanovsky, cosa rappresenta il calcio per lei?

'La professione e la vita'.

Non c'è spazio per qualche altra cosa?

'Per il momento c'è solo posto per il calcio'

 

Era poco più d'un neonato quando, in tempi di guerra, una selezione formata da otto uomini della Dinamo Kiev e tre del Lokomotiv sconfisse due volte un team nazionalsocialista composto da ungheresi e tedeschi: 4-0 la prima partita, 3-1 la seconda. Peccato che la doppia gioia conquistata sul campo costò loro la vita, col portiere Trusevich fucilato da un cecchino posto sul dischetto del rigore, un cucchiaio avrebbe certamente fatto meno male.

 

Valeri Lobanovsky muore alle 20:35 del 13 maggio 2002 all'ospedale di Kiev, aveva 63 anni. Sei giorni prima Valeri è in panchina in trasferta nella Slavutych Arena ad assistere a Metallurg Zaporozhye-Dinamo Kiev, impassibile come sempre. E' allora che la vita fatta di studi, battaglie, rivoluzioni sociali, tattiche e qualche bicchiere di troppo gli presenta il conto, impietosa, falce in mano: un ictus lo colpisce, Mikhailichenko, suo secondo ed ex allievo,  piange disperato. Il Maestro vende cara la pelle e resiste, pare riprendersi come accadde anni prima e salendo addirittura sull'ambulanza con le sue gambe; passa qualche giorno e sopravvive anche all'intervento chirurgico, si dice risonosca pure la moglie Ada. Alla notizia del decesso, tutto ciò che di sovietico e di calcistico v'è al mondo si veste a lutto, Kuchma (ex Primo Ministro e Presidente delle Repubblica fino al 2005) l'elegge Eroe d'Ucraina, il figlioccio Shevchenko gli porta la Champions League vinta contro la Juventus l'anno successivo al cimitero di Baikove, perché Andriy non dimentica i precetti del Colonnello, come quando Loba lo salvò dalle sigarette (Sheva s'accendeva 30-40 bionde al giorno) trasformandolo in Usignolo di Kiev, iniettandogli una soluzione di nicotina che provocò all'ex attaccante rossonero una sindrome da rigetto: da allora mai più tabacco, solo gol.

 

Il Lobanovsky calciatore è sorprendentemente antagonista del futuro sé stesso: possente ed estrosa ala sinistra di oltre 190 cm votata ad offendere, il carattere complicato gli farà lasciare la Dinamo Kiev guidata da quel Viktor Maslov accusato dallo stesso Valeri di opprimere i giocatori con allenamenti troppo duri e tedianti esercizi. Se ne va così ad Odessa, poi Shakhtar, mettendosi in tasca una laurea in ingegneria meccanica s'appresa a diventare il miglior allenatore che non solo la postuma Ucraina, ma anche l'intera Unione Sovietica avrebbe visto in un secolo di calcio. Nel 1969 il suo sbarco sulla panchina del Dnepr avrà lo stesso impatto di quello avvenuto per piede di Armstrong ed Aldrin sulla Luna, il Maestro è un visionario del calcio e chiede aiuto alla scienza ingaggiando in rosa il professor Anatoly Zelentsov. I due studiano teorie, creano un programma per analizzare le partite dividendo il campo di gioco in nove quadrati, credono che un giocatore debba sapere già dove passare la sfera prima di averla ricevuta, il pc entra ufficialmente nel calcio che conta e Loba vuole i dati, le cifre, 'tutto è numero' - ripeterà fino alla nausea.

 

Nel 1973 passa alla Dinamo Kiev (tra ritorni ed addii vi resterà 20 anni) trasferendo tutto il suo Laboratorio nel quartier generale di Kontcha Zaspa: agli informatici Lobanovsky aggiunge il mago dell'atletica leggera, quel Petrowski allenatore di Borzov (grande amico di Blokhin), velocista capace di correre (e vincere) i 100 metri in 10''07 alle Olimpiadi di Monaco 1972. La Dinamo vince in patria e diventa la prima squadra dell'Europa dell'Est a conquistare un trofeo fuori dalle mura amiche battendo il Ferencváros 3-0 in finale di Coppa delle Coppe e pochi mesi dopo il Bayern Monaco del Kaiser Franz nella doppia sfida di Supercoppa Europea; quell'anno Oleg Blokhin strapperà il Pallone d'Oro proprio al capitano bavarese. Nel 1986, al secondo mandato in quel di Kiev, bisserà il successo in Coppa delle Coppe strapazzando 3-0 l'Atletico Madrid grazie alle geste del futuro Pallone d'Oro (un po' a sorpresa), Igor Belanov.

 

Alla guida dell'URSS replicherà i tre mandati di Kiev (senza vincere nulla) e dalla madre delle città sovietiche attingerà sempre: dai 7 agli 11 giocatori, stesse idee di gioco, stesse metodiche d'allenamento, stesso silenzio, stesso alone di mistero attorno al ritiro. La squadra che propone ai Mondiali 1986 è la stessa Dinamo Kiev con portiere diverso, all'esordio gli automatismi del Colonnello stupiscono tutti, l'Ungheria di Detari si sbriciola sotto le cannonate rosse, finirà 6-0 ed il mondo vedrà l'URSS favorita per la vittoria finale, invece agli ottavi il Belgio di Guy Thys segna due gol in offside e la spunta ai rigori, a Lobanovsky crolla il mondo addosso. La rivincita è attesa due anni dopo in terra teutonica dell'Ovest, la cavalcata europea parte bene per i rossi, che battono di misura i futuri campioni d'Europa nella gara d'esordio e vincono il girone; in semifinale c'è l'Italia di Vicini, favorita per i giornali nostrani ma trafitta due volte e spedita a casa dall'armata rossa che in finale ritrova i Tulipani di Michels. Il Colonnello mostra forse eccessiva sicurezza nei propri mezzi schierando Aleinikov (regista fino dai piedi buoni) difensore centrale, Van Basten ringrazia tuttora, il Laboratorio di Loba fallisce ancora una volta nonostante l'aria nuova di Gorbaciov fatta di perestrojka e glasnost, anche se dai racconti di giornali italiani la base russa pare più un gulag o al massimo un penitenziario o ritiro di seminaristi: all'interno non vola una mosca, ci sono gli elicotteri militari, la polizia ad aprire i cancelli ai rari incontri con la stampa e poi c'è lui, Valeri, statuario, misterioso, di poche parole; gli chiedono dell'amichevole di Bari (vinta dagli Azzurri 4-1 con doppietta di Vialli) e lui risponde: 'Non mi sembra di ricordare questo incontro...' - gli chiedono, poi, degli infortunati, e lui: 'Abbiamo un buon dottor, che fa guarire in fretta' - dice prima di alzarsi e sparire negli Emirati Arabi Uniti e Kuwait, sommerso dall'oro unto dal petrolio arabo: 'In Kuwait i giocatori sono veri e propri volontari. Non solo non ricevono denaro, ma vengono agli allenamenti o alle partite solo se ne hanno voglia. Purtroppo non c'e' nessun mezzo legale per fare loro rispettare l'impegno'.

 

Predicatore di un calcio avanguardistico a tratti paragonabile all'idea di gioco proposta dall'ultimo Barça (movimenti senza palla e ripetizione ossessiva dei medesimi schemi) ed amante dell'idea di giocatore universale (alla quale tanto s'avvicinava l'ex doriano Mykhaylychenko) in grado di ricoprire più ruoli, Lobanovsky ha fatto da modello ai blaugrana di Pep Guardiola, che in campo vorrebbe dieci centrocampisti pronti a scambiarsi costantemente posizione e consegne tattiche. Schivo, rigido, cultore del riposo pomeridiano e della puntualità, dai tratti somatici forti, decisi, burberi e ben lontani dal turgore degli ultimi anni alla Dinamo, si dice che spesso non pranzasse per concedersi unicamente la cena, concludendola con un assaggio di liquore, ma attenzione, niente alcol per i suoi calciatori: una volta vedendone uno ubriaco l'obbligò a fare il custode del campo per ben 5 mesi, e poi lo perdonò? No, ne ordinò la cessione ad un club minore: questo era Valeri Lobanovsky, Colonnello, per davvero.
 

Alan Bisio