Un centimetro in meno di Messi, quattro più di Giovinco, gli stessi di Miccoli, tre oltre Maradona, almeno ufficiosamente: per la Fifa El Chapulín misura 1 metro e settantatré e di mestiere fa (anche) il portiere.

 

SURFIN' ACAPULCO - Jorge Francisco Campos Navarrete nasce ad Acapulco il 15 ottobre 1966, l'anno di Geoffrey Hurst ai Mondiali d'Inghilterra, in cui il Messico non vincerà nemmeno una gara. Lo chiamano El Brody, vezzeggiativo ispanico di brother, forse proprio a causa della gravidanza durante il maggior evento sportivo di quell'anno; Jorge cresce nella baia più bella del mondo, prova il tennis, il basket, il baseball, ma fra turisti e narcos s'innamora del mare, del surf e delle onde cavalcate sul Revolcadero, spiaggia luogo di culto per i fan di  poliuretano e nose riding. Non sappiamo se il giovane Campos si sia mai arrampicato torcia in mano sulla Quebrada per poi tuffarsi tra scogli e pellicani dalla proibitiva altezza di 45 metri, apprendiamo però che il primo ruolo del messicano nei sabbiosi campetti di Acapulco sia stato quello dell'attaccante: rapido, brevilineo, killer instict sotto porta.

 

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GOLEADOR - Jorge arriva relativamente tardi nel calcio che conta, ha infatti 22 anni quando firma il suo primo contratto professionistico col Club Universidad Nacional di Città del Messico, meglio noto come UNAM o Pumas. Qui si trova a dover rivaleggiare tra i pali col coetaneo Adolfo Rios, titolare nonostante sia più giovane di un paio di mesi: che fa Jorge? Semplice, Miguel Mejía Barón, allenatore, odontoiatra e filosofo che ritroverà poi ai Mondiali 1994, non rinuncia a nessuno dei due estremi difensori, riciclando Campos come attaccante. Udite udite, a fine stagione saranno 14 i gol in 37 presenze nella Primera División, primo marcatore della squadra, robe da matti. In due anni si guadagna il posto da titolare anche fra i pali, e senza far disperare il rivale Rios: coi Pumas in difficoltà Campos sveste (a gara in corso) i panni dell'ultimo baluardo per gettarsi in avanti; vittima della situazione lo sfortunato compagno di squadra di turno costretto a far posto al portiere di riserva.

 

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ARLECCHINO - Dal 1988 Jorge Campos disegna da sé i motivi delle divise che indossa, facendone un vero e proprio marchio di fabbrica: "La mia esperienza con il surf ha influenzato la mia scelta di questi colori così forti" - dirà durante un'intervista concessa a Eurosport. Schernito da mezzo mondo per l'eccentricità delle scelte cromatiche, Jorge se ne frega: "Che m'importa? A fine partita c'è sempre qualcuno che vuole la mia maglia". Ai Mondiali '94 sfoggia completi stravaganti e di almeno tre taglie più grandi, sembrano ponchi. Eppure, da una ricerca fatta negli States, emergerà che l’idolo dei ragazzi al mondiale con finale a Pasadena fu proprio lui, Jorge Campos, stoppato da un Blatter che in ogni modo ha provato a tarpargli le ali. Nel giugno 1994 il presidente della Fifa dichiara che al Messico non sarà consentito utilizzare Campos in entrambi i ruoli nel corso di una stessa partita. Decisione incomprensibile per coach Barón e per lo stesso portiere/attaccante, che dirà: "Non capisco che cosa significhino le dichiarazioni di Blatter. Se io sono in grado di giocare in due ruoli, è un vantaggio che il mio allenatore, se lo ritiene opportuno, ha tutto il diritto di sfruttare. Certo, in tutto il Mondiale, mi piacerebbe giocare almeno un quarto d'ora da attaccante. Sarebbe una soddisfazione personale". Nel 1998 invece Campos fu costretto a rinunciare alla sue amate divise sgargianti, sempre su diktat del presidentissimo svizzero.

 

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TRICOLOR - Con la nazionale messicana Jorge riuscì a vincere in carriera due Gold Cup (1993, 1996) ed una Confederation Cup, battendo in finale il Brasile del collega ex rossonero Nelson Dida. Ai Mondiali, invece, la corsa del Tricolor si arrestò sempre agli ottavi di finale, nel 1994 (dopo aver quasi eliminato gli Azzurri nel girone iniziale) ai rigori contro la Bulgaria di Stoichkov (Campos parò un rigore a Balakov e riuscì soltanto ad intuire i successivi tre tiri dal dischetto), nel 1998 contro la Germania 2-1, nonostante l'iniziale vantaggio del biondo Matador Hernandez. Campos partecipò anche alla sfortunata spedizione di Corea e Giappone, ma soltanto come riserva. Il rimpianto più grande sarà quello di non essere mai riuscito ad andare in rete con la maglia della nazionale (nonostante indossasse molto spesso la camiseta numero 9), coi club, invece, le reti saranno 34 in 433 presenze tra Pumas, Atlante, L.A. Galaxy, Cruz Azul, Chicago Fire, Tigres e Puebla.

 

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AU REVOIR - Uomo Nike per eccellenza (vi ricordate chi fu l'unico portiere nello spot contro gli scorrettissimi demoni?), attuale commentatore sportivo per l'emittente messicana Tv Atzeca, Campos ha perfino ispirato un personaggio di Holly e Benji (Ricardo Espadas). Leggenda narra che Chiqui-Campos scendesse sempre in campo con due magliette: sotto quella da portiere, enorme, quella da giocatore di movimento, nel caso ce ne fosse stato bisogno a gara in corso; impegnato nel sociale con qualche campagna per il rispetto dell'ambiente, ha persino aperto una catena di fast-food (la Sportortas Campos). Ci chiediamo, presuntuosi, quant'avrebbe pagato Pep Guardiola per ringiovanirlo di qualche anno e schierarlo al posto di Victor Valdes al Camp Nou, realizzando così l'utopia degli undici centrocampisti in campo, avendo fra i pali quello sweeper-keeper che fa da portiere, libero e regista, magari senza folli corse verso l'area avversaria, ecco...

 

Alan Bisio