A Heilbronn, nel distretto di Stoccarda, mentre le fabbriche Audi lavorano senza sosta, anche Knorr continua a produrre zuppe, cibi surgelati e dadi. Qui, nel 1974, è nato anche Vincenzo Palumbo, attaccante molto "italo", poco "tedesco", ma soprattutto - a guardarlo muoversi in velocità con i dribbling, il gol nel sangue e un irresistibile tempismo - qualunque cosa fuorchè un brodo. La minestra semmai, è il sunto della sua scarsa professionalità, alla quale non è mai mancato nulla: squalifiche, strattone all'arbitro, sparizione improvvisa e ritorno, bugie, spaccio e molto, molto altro.
Prima di arrivare in Italia, Palumbo di gavetta ne ha fatta tanta, sia in Germania che in Svizzera. Dopo aver percorso la trafila giovanile del club locale dove è nato, Palumbo prosegue, imponendosi con grande talento, nei Kickers Stoccarda, raggiungendo la prima squadra nel 1992. Durante la stagione scende in campo una ventina di volte, segnando due reti. E' tuttavia a livello personale che, all'età di diciotto anni, affronta il dramma di ritrovarsi orfano, a causa di un incidente stradale. "Dicono che ho un brutto carattere - racconterà qualche anno più tardi - e forse è vero. Ma i miei colleghi, quando le cose vanno male, hanno una famiglia nella quale trovare rifugio. Io i miei genitori li ho persi".
Senza più punti di riferimento, decide di proseguire con il calcio e la carriera da giocatore in Svizzera, militando nello Sciaffusa, Basilea, Servette e Chenois. Le statistiche riguardo questi anni sono difficili da reperire, anche se nella sua ultima stagione, pare aver collezionato 22 presenza segnando la metà dei gol.
Il salto in Italia arriva nel 1995, alla Fidelis Andria, in Serie B. L'attaccante è poco più che ventenne ma trova un discreto spazio fino a mettersi in luce con 13 presenze e cinque reti. Su Palumbo - che dalla città pugliese scappa, letteralmente, durante la notte dopo una spietata litigata con la dirigenza - iniziano a mettere gli occhi club più blasonati di quello pugliese, in particolare c'è il Padova che lo vuole a tutti i costi, tanto che - a proposito di costi - paga 80 milioni di lire l'agente Gianni Prete, per l'intermediazione. E' il mese di dicembre del 1997, qualche settimana dopo Palumbo firma un triennale da un miliardo e trecento milioni, compenso da rimettere in discussione in caso di promozione in A. I biancoscudati però retrocedono in C e la paga va ridiscussa eccome. L'incontro tra le parti avviene al casello autostradale di Terme Euganee, come riporta "Il Mattino di Padova". C'è da trovare un compromesso delicato, ma il giocatore non ha voglia di perdersi in finezze e infatti decide semplicemente di strappare il contratto facendone dei coriandoli. La carta va nella spazzatura, idem i doveri contrattuali di Palumbo con il club veneto. Un mese più tardi, l'attaccante trova un accordo con l'Empoli per due miliardi e mezzo. Il Padova sente lo schiaffo di quell'incasso mancato e così parte la causa. Inizialmente la Commissione tesseramenti dà ragione al giocatore, anche se viene sanzionato con una squalifica fino al 31 gennaio del 1999 e la società costretto a pagare una multa di trenta milioni. In un secondo momento, la causa viene vinta dal club ma il tribunale, non potendo quantificare il danno, obbliga Palumbo a versare al Padova il guadagno del primo anno in Veneto. Inutile dire che questa sentenza finale, senza precedenti - definita ed emessa però solo nel novembre del 2004 - traccerà un solco nella regolamentazione dei rapporti tra tesserati e giocatori.
Tornando un passo indietro, l'esperienza di Empoli è pessima per il giocatore che gioca solo tre partite senza segnare, ma sono "caps" in A e quindi i mesi in Toscana diventano agrodolci. Nell'autunno del '98 passa quindi al Pescara e in due anni e mezzo scende in campo 44 volte, mettendo a segno 13 gol e palesando il suo estremo brutto carattere. "A Pescara lo ricordano come un tipo bizzarro - scriverà "La Repubblica" nel marzo del 2001 - Sarà per il look da sfilata di tendenza, pantaloni larghi e plastificati, t-shirt in tinta, giacca di pelle nera e un' andatura dinoccolata che più di una volta gli ha fatto guadagnare il soprannome di molleggiato". Sono le stagioni migliori della carriera dell'attaccante ma non certo prive di turbolenze. Intanto ha sempre un atteggiamento anarchico, che nel 2000 fa infuriare tutta la squadra che non sopporta più la libertà dagli impegni che autonomamente si prende. Inviatati ad una manifestazione al Parco della Maiella, i giocatori si rifiutano di partecipare perchè - tanto per cambiare - Palumbo ha scelto di non presentarsi.
Oltre ad arrivare la squalifica causa contenzioso col Padova, l'impronta più pesante - o almeno più appariscente - degli anni a Pescara, il giocatore la lascia durante un match di campionato in casa, contro il Crotone, andando a spintonare l'arbitro in un finale nervoso. Inevitabili le quattro giornate di stop, con la società abruzzese che nemmeno fa ricorso pur di liberarsi di Palumbo.
"A Pescara si è rotto qualcosa - spiegherà qualche tempo dopo, durante la presentazione nella sua nuova squadra - Sia in campo che fuori tra i tifosi non c'è quell'entusiasmo di un tempo. Per questo ho chiesto di andare via. Ho lottato per settimane, per mesi. Con il Palermo era tutto risolto, ma da Pescara non volevano proprio mollarmi. Alla fine hanno dovuto cedere. Sono stato informato soltanto alle nove di sera del mio trasferimento. Ho preso l'aereo ed eccomi qui".
Dietro la volontà di mettersi in gioco in rosanero, ci sono anche i 700 milioni sborsati dalla presidenza Sensi per acquistare il cartellino nonchè un generoso contratto pluriennale, a 600 milioni a stagione.
Il giocatore che si presenta in Sicilia nell'inverno del 2001 però, non ha nulla del vecchio Palumbo: capelli corti, faccia pulita, abbigliamento total black, sobrio. Mister Sonzogni lo ha voluto a tutti i costi nella rosa, per tornare in Serie B. Nel biennio a Palermo, nonostante tutti i buoni propositi, mette insieme 9 presenze e una rete alla prima di campionato contro la Viterbese.
Oltre che a diventare latitante in campo, dopo un paio di settimane, ad un certo punto decide di scomparire senza far sapere nulla di chiaro alla società. La domenica, durante la gara con la Fidelis Andria, il tecnico lo sostituisce e Palumbo se ne va. Qui si perdono le tracce ma il club lo aspetta il martedì, alla prima seduta di allenamento settimanale. Solo che il giocatore non si presenta ma avverte per telefono il diesse Perinetti, dicendo che è a Fiumicino, ha fatto un incidente, ma soprattutto ha problemi personali. Il direttore, preoccupato, gli consiglia di restare dov'è finchè non trova una soluzione. Dopo questo contatto, tra l'attaccante e la dirigenza si chiudono le comunicazioni, l'uomo è introvabile. Il Palermo più che arrabbiato è preoccupato, tanto da inviare il proprio legale Conti a denunciare la scomparsa: "Tecnicamente - spiega l'avvocato - si tratta di denuncia di allontanamento. Siamo preoccupati perché non abbiamo notizie e Palumbo non ha parenti in Italia. E' già stata avvertita la questura di Roma". Il martedì della settimana successiva, Perinetti riceva una nuova chiamata dal giocatore: sta tornando dalla Germania, è andato ad aiutare il fratello in difficoltà, che ha avuto un incidente talmente grave che rischia di restare paralizzato. Il giorno dopo Palumbo rientra a Palermo e viene riaccolto con un grande sospiro di sollievo e al campo di allenamento riprende le sedute come nulla fosse. "Chiedo scusa a tutti - dice il giocatore - alla società, ai compagni, ai giornalisti e ai tifosi. Mi dispiace essere sparito così, ma avevo dei gravissimi problemi personali da superare. Adesso li ho risolti e sono pronto a rimettermi al lavoro per dare il massimo a questa squadra. I problemi che avevo erano molto gravi, ma per fortuna sono adesso superati. Sono contento di essere nuovamente qui". Torna il sereno ma non la quadra del tutto: che Palumbo avesse un fratello rimasto in Germania, non lo sapeva proprio nessuno e dallo stesso non è mai stato nominato.
Chiuso il caso, se ne crea un altro durante la stagione successiva all'inizio del ritiro. Il neo mister rosanero Mutti lo vede arrivare palesemente in sovrappeso. Lo invita allora a pesarsi ma l'attaccante si rifiuta e riprende a fare quello che vuole, soprattutto a cercare scuse di qualsiasi tenore pur di saltare gli allenamenti. Il tecnico e la squadra iniziano a non contarci più e la società cerca un modo per chiudere il contratto.
Che i "problemi personali" del giocatore non siano finiti e siano di natura losca, il club lo capirà nel febbraio del 2002 quando l'auto di Palumbo - un Bmw da 500mila euro - viene bruciata. "L'avevo parcheggiata intorno alle 21,30 - racconta quel giorno - Alle due mi hanno svegliato i carabinieri dicendo che la mia auto stava bruciando. Sono sceso di corsa e ho visto la macchina. Accanto c'era una bottiglia di plastica vuota probabilmente usata per portare la benzina". Il messaggio di natura intimidatoria è abbastanza chiaro. Infatti, poco tempo dopo, la Procura di Palermo lo troverà implicato in un'inchiesta anti-droga, con il coinvolgimento di spacciatori romani, i quali rifornivano quotidianamente Palumbo di cocaina, non solo per assunzione personale. Il Palermo, quindi, trova il modo di cacciarlo ma il giorno in cui dovrebbe presentarsi al Collegio arbitrale per la risoluzione, il giocatore arriva in ritardo perchè non si era risvegliato in tempo, da una dormita. Nel frattempo, una volta trovato in possesso di droga, seppur mai positivo ad un controllo antidoping, la Figc lo squalifica per sei mesi.
La carriera prosegue in realtà e piazze più piccole, ma dopo le ultime complicate vicissitudini, l'attaccante pare aver trovato un equilibrio. Infatti, riesce a fare discretamente bene nella Torres (9 gol in 51 presenze), poi a Pisa nel 2006, Olbia, Tavolara, Viterbese, Nuorese, Castelsardo, Calangianus, Albarossa e Golfo Aranci nel 2015. Al momento, secondo dati "Transfermarkt", è svincolato ma comunque in cerca di squadra.
Fonti:
La Repubblica
You Tube
Adkronos
Ansa
Rosanero.net
Il Tirreno