Un ultimo anno tremendo, passato praticamente tra panchina e tribuna. Marco Borriello racconta la sua verità delle sue esperienze vissute con la maglia della Spal e del Cagliari. Si parte proprio dalle vicende che lo hanno portato a salutare la Sardegna. Queste le parole alla Gds: "Arrivai in Sardegna per merito di Capozucca, che con Braida è il mio secondo padrino calcistico. Firmai un contratto composto da un fisso e da un bonus da cinquantamila per ogni gol segnato. Pensai che il presidente non credeva in me, oppure che fosse un pazzo. La gente sognava che, con la maglia rossoblu addosso, battessi il mio record personale di 19. Ero a quota sedici già a cinque giornate dalla fine, era fattibile. Ma nella partita contro il Pescara successe una cosa che non mi sarei mai aspettato. Calcio di rigore per noi, prendo il pallone in mano ma Rastelli mi chiama dalla panchina. "Deve battere Joao Pedro", mi dice. Non me l'aspettavo, fu un brutto gesto. L'allenatore era al centro delle critiche dei tifosi e non aveva un buon rapporto con tanti calciatori. Io, invece, l'avevo sempre difeso. A fine partita Capozucca mi fa vedere un sms. C'era scritto che a fine primo tempo dovevo uscire dal campo, al fine di evitare che segnassi ancora. Il diesse mi disse anche che gli era stato comunicato che non sarebbe stato confermato, e da lì cominciarono le mie incertezze. Joao Pedro che a Sassuolo mi dice "stai zitto e corri", il crack nello spogliatoio con tutti i brasiliani e il rapporto con il presidente che ormai andava scemando: sì, dovevo proprio andar via".
L'ESPERIENZA ALLA SPAL - "La squadra giocava lontano dalla porta, ciò non esalta le mie caratteristiche. Ma ci furono altri problemi. Spal-Verona, 10 dicembre. Sullo 0-2 fui sostituito, il pubblico mi fischiò. Io li applaudii ironicamente, non mi aspettavo di essere trattato in quel modo. Nè, tantomeno, mi sarei mai aspettato che la società si sarebbe schierata dalla parte della tifoseria. Semplici mi mise da parte, costringendomi ad allenarmi ma ad usare uno spogliatoio diverso rispetto al resto della squadra".
L'INFORTUNIO - "Fu uno strappo di pochi millimetri al polpaccio, ma ogni volta che ci giocavo su faceva di nuovo male. I medici della Spal non riuscivano a curarmi, la società lasciò che facessi tutto da solo a mie spese. Chiamai persino un medico musulmano, e dovetti pagare tutto quanto personalmente. Da lì presi la decisione di non andare neppure più allo stadio: i tifosi mi insultavano, l'allenatore mi aveva messo in disparte. Eppure, ogni lunedì, tornavo sul campo per allenarmi".