Ricordo quando Claudio Ranieri arrivò a Napoli per rilevare la squadra “orfana” di Maradona. I sette anni più grandi della storia del calcio all’ombra del Vesuvio avevano lasciato i napoletani in uno stato d’animo destinato a una psicanalisi collettiva da cui intere generazioni non si sarebbero potute sottrarre. Ancora oggi nulla è risolto e nulla vi sfugge.
Chi avrebbe potuto assumersi la responsabilità di una guida tecnica che avrebbe dovuto fare i conti con una separazione dagli effetti imprevedibili? L’avanti Maradona e il dopo Maradona rappresentavano due epoche che sembravano separate da secoli. Eppure appena sette anni avevano scavato un solco millenario. Chi avrebbe saputo relazionarsi a calciatori che avevano scritto una storia grande insieme al più grande e altri che erano appena arrivati insieme ad altri che avevano vissuto la crisi di una squadra dentro quella di uno tra i personaggi più condizionanti del ventesimo secolo? E non solo.
Claudio Ranieri si assunse una responsabilità enorme. Probabilmente incoraggiata dall’incoscienza del suo stile discreto e raffinato. Un uomo sulla soglia dei quarant’anni era arrivato dove il futbol aveva tracciato i limiti delle possibilità umane. E in quel periodo c’era da recuperare lo sconforto per un momento zero che in fondo avrebbe dovuto prima di tutto cercare una nuova unità di misura per ricominciare a riconoscersi in qualcosa che potesse funzionare.
Mister Ranieri riuscì subito a fare questo. A dimostrarsi una persona capace di avere a che fare con gli equilibri più delicati. Quel Napoli iniziò subito a meravigliare, piazzandosi tra i primi posti della classifica a dispetto di ogni pronostico. La nostalgia fu presto confortata da una squadra in grado di ritrovarsi senza più la necessità di affidarsi a punti di riferimento ineguagliabili. E questo fu un aspetto merito della sua guida. Fu merito di Claudio Ranieri.
La sua esperienza a Napoli non finì bene, interrotta l’annata successiva perché la squadra non girava più come prima. La stessa che lui aveva organizzato con efficacia nella stagione precedente in quella del consolidamento non giocava più come avrebbe dovuto. A pagare in certi frangenti sono sempre gli allenatori, ma in quel periodo le difficoltà del Napoli affondavano le loro ragioni in altri aspetti che Ranieri pagò in nome di regole non scritte, ma che in fondo non avevano a che fare con elementi di natura tecnica.
Non è un caso che a Napoli lui abbia lasciato un bel ricordo. E lo ha fatto grazie alla sua qualità che ne ha contraddistinto tutta una carriera. Quella signorilità che ha sempre saputo parlare prima di tutto agli uomini ancor prima che ai calciatori. Allora fu un banco di prova troppo importante per essere tradito. E così è stato. Claudio Ranieri non si è mai tradito.
La sua è stata una vita di allenatore spesa spesso per recuperare gli ambienti, per riportarli su equilibri e cambiamenti intelligenti. Figura sempre più rara in un calcio dove sono sempre meno quelli che sanno assumersi le proprie responsabilità caricate anche da quelle di altri. Le figure in soccorso. Claudio Ranieri è stata una figura di soccorso. E chi ancora dovesse in qualche modo servirsene non se ne pentirà.