È una stagione di mezzo. Le sembianze sono queste. Non il disastro della scorsa annata, nemmeno il trionfo dominante di due anni fa. E queste due anime sembrano alternarsi nello spirito di questo Napoli che ormai è il Giano Bifronte destinato a guardare al futuro e al passato trascurando il presente. 

Sono tante, troppe le partite in cui i partenopei hanno patito questa malattia autoimmune dei secondi tempi contrari ai primi. A volte il contrario, ma pur sempre nella divisione paradossale di una squadra opposta a se stessa dentro la stessa partita. Un male di vivere che è costato agli uomini di Conte i punti necessari ad accendere un intimo di delusione prima ancora che questo campionato riveli il suo epilogo tuttora incerto. 

Perché se il Napoli fosse stato in grado di mostrarsi più continuo e costante all’interno della stessa gara in diverse occasioni, oggi forse si starebbe parlando di un campionato quasi in pugno degli azzurri. Bologna è stato l’atto ennesimo di un atteggiamento che ha tutte e nessuna provenienze. Dall’atteggiamento mentale, passando per gli infortuni, un organico disomogeneo scorretto e corretto nel peccato originale dell’incompiutezza, fino a una gestione dei cambi talvolta tardiva e stucchevole da parte di Conte, il Napoli delle seconde frazioni ha spesso detto arrivederci a quello delle prime.

Una sconfessione al limite di un bipolarismo che nel girone d’andata sembrava ripararsi dentro una maggiore solidità difensiva, ma che in quello di ritorno non ha sottratto il Napoli da responsabilità tecniche che in certi frangenti hanno mandato in scena le ragioni dello spreco. Vedere gli ultimi minuti nelle due trasferte di Roma, la gara casalinga con l’Udinese o la trasferta di Como. Col Milan gli azzurri pure hanno seriamente rischiato di non vincere. E Bologna è stato l’esempio perfetto di questa patologia dei secondi tempi che pare diventare una specie di incubo ricorrente nelle gestioni tattiche di Conte.

Dal prossimo turno in poi, però, il Napoli dovrà ammettere la più seria delle responsabilità. Quella dell’assenza di scuse. Un calendario che metterà i partenopei davanti ad avversari nettamente inferiori andrà onorato al massimo della resa perché un’ottimizzazione ipoteticamente completa significherebbe la possibilità di potersi aspettare che in classifica qualcosa cambi.

Il predicato tutto grinta e abnegazione di uno come Antonio Conte si ipotizza sia il primo a non nascondersi davanti a questa necessità. Bologna doveva essere l’ultima tappa strategica. Dopo non c’è scusa alla regola per cui le partite sono un esercizio di presente. Per un "miracolo" che non sia a metà.