Il Napoli del girone d’andata ha detto che Antonio Conte è l’uomo giusto e che la “ricostruzione” del dopo decimo posto potrebbe aver trovato presto i giusti rifondatori. I 44 punti che, aspettando i recuperi di Atalanta e Inter delle rispettive mancanti, al momento vedono i partenopei in testa alla classifica eguagliano il record ottenuto da Ancelotti nel 2018\2019 come punteggio di un allenatore alla guida degli azzurri nella sua prima stagione. 

Il rendimento della squadra di Conte trova di certo termini di comparazione con precedenti diversi da quelli che invece proprio l’attuale allenatore del Napoli continua a utilizzare, anche un po’ per prudenza strategica, come punto di riferimento. La scorsa annata, sia pur condotta con un organico quasi assimilabile a quello della conquista del terzo scudetto, ha visto gli azzurri fare registrare un rendimento da record negativo per una formazione campione in carica. Quel decimo posto, seppur ad opera di buona parte dell’attuale organico, non può essere adottato come riferimento attendibile a causa di tutta una serie di condizionamenti che la gestione di Conte ha saputo rimuovere velocemente.

Il Napoli alla fine della prima parte di campionato ha il quinto attacco, con 30 gol segnati in 19 partite. Un dato al ribasso rispetto a molte stagioni in cui i partenopei avevano mostrato una migliore capacità realizzativa. Tuttavia il dato va letto rispetto alla nuova impostazione tattica, votata a un equilibrio difensivo più solido e a una tendenziale preferenza, almeno in alcuni tipi di gare, per la tenuta difensiva. Aspetto dimostrato dal fatto che il Napoli vanta attualmente la miglior difesa, con 12 reti subite

Un altro elemento che emerge è quello del rapporto tra rendimento casalingo e quello in trasferta. Il Napoli in casa ha fatto meno punti che fuori. E ha perso una partita in più rispetto all’unico passivo subito lontano dal Maradona. Il 3-0 patito a Verona in una prima di campionato che può essere facilmente considerata una partita fuori dal contesto stagionale. Prima di tutto per le frenetiche dinamiche di mercato che la società azzurra stava affrontando in quei giorni. 

Il dato in questione però non deve sorprendere. Perché anche in diverse stagioni precedenti il Napoli aveva mostrato una maggiore sicurezza di risultati nelle gare in trasferta. Pure nell’anno dello scudetto targato Spalletti. Con Conte questo andamento può essere letto, almeno al momento, anche rispetto all’atteggiamento tattico di una squadra che riesce a diventare molto più insidiosa in situazioni in cui è l’avversario a prendere maggiore iniziativa offensiva. Eppure questo equilibrio è parso consolidarsi più nella fase centrale del girone di andata, complice anche il tipo di calendario, mentre nelle prime e nelle ultime gare il Napoli si è distinto per maggiore possesso palla e superiore iniziativa offensiva.

Un altro aspetto che ha caratterizzato molte partite della prima metà di campionato è una sorta di divisione di approccio alla partita nello stesso incontro. Il Napoli spesso si è mostrato diverso, a tratti opposto, tra primi e secondi tempi. In diversi confronti la squadra di Conte ha mostrato volti diversi tra prima e seconda frazione. O per ragioni di natura tattica o per cali, sia pur sporadici, di equilibrio e di tenuta atletica. Così come restano due le gare condotte con un’ingenuità tattica dovuta a scelte che hanno mandato in campo una squadra ibrida nell’atteggiamento, divisa tra il tentativo di attaccare senza badare alla fase difensiva con lo stesso livello di compattezza di altre occasioni: Atalanta e Lazio. Le due sconfitte interne hanno rilevato questo vizio di natura mentale più che di origine tecnica. 

Sul piano dei rendimenti dei singoli, sono diversi i calciatori che hanno fatto registrare un’ottima resa. Di certo McTominay, Neres e Bungiorno sono stati di grande impatto. Mentre Lukaku ha dovuto assorbire poco a poco un nuovo carico di responsabilità che non ha caratterizzato in maniera brillante il suo rendimento sul piano estetico, ma ne ha comunque restituito numeri molto importanti. 7 gol e 5 assist certificano una prima metà di campionato in cui era prevista la necessità di recupero atletico progressivo. Se si considerano i 12 gol portati tra reti e passaggi decisivi e quelli scaturiti da giocate comunque condizionanti, l’attaccante belga non ha tradito le attese. Giocatori come Olivera, Politano e Anguissa sono sembrati tra quelli più pronti ad assorbire il metodo Conte, mentre Lobotka e Di Lorenzo sono tornati sui livelli migliori che li avevano contraddistinti in passato.

I 44 punti in 19 gare sono promessa e sogno. Nel primo caso rappresentano il sentiero per raggiungere l’obiettivo dichiarato a inizio stagione, ossia il ritorno in Champions League. Nel secondo, invece, un punto di ripartenza che per alimentare qualcosa di più grande non può permettersi di diminuire.